mercoledì 18 marzo 2009

Max Payne


Regia: John Moore
Durata: 1h e 40m
Max Payne di nome e di fatto, poliziotto dai modi spicci a cui i kativi della Neo Borocillina hanno ucciso moglie e figlia. Quando la vendetta attraversa il monitor del sistema informatico per arrivare al grande schermo e tornare indietro a velocità binaria. Max Payne come infausto Omen nei confronti dello spettatore?

Best

5 - Brea Grant



In Heroes è la supervelocista Daphne, qui una fattona neppure accreditata nei titoli di coda. Forse il più povero cameo nella storia del cinema e un tale traguardo merita di essergli riconosciuto.

4 - Profondo rosso



Bagliori pittati di rosso per definire il dolore? Trovata calzante stile FPS next-gen? Dopo la prima mezz'ora il regista si dimentica di averla usata e rimane lì, una curiosa intuizione che pare mezza presa per il culo.

3 - Allucinazioni asgardiane



Nelle deliranti visioni tossiche è riposto l'aspetto maggiormente immaginifico e visionario del film. Scongiurata la reale presenza di demoni-valchirie suggerita nel trailer, vi è solo l'allucinatoria percezione indotta che si palesa attraverso ombre dapprima indefinite, poi sempre più verosimili e apparentemente letali. Segue morte violenta causata da entità ben più materiali.

2 - Neve



"Fuori, la città sembrava un mostro crudele avvolto da una gelida oscurità", dice Payne nel gioco. Il film rispetta quelle parole, fornendo un'interpretazione notturna e nevosa che non fa distinguo fra vicoli e panoramiche. Minuscoli personaggi si muovono nel ventre di gigantesche mura, come intrappolati all'interno di una morsa fumosa e opprimente dalla quale è impossibile fuggire. Purtroppo tale forza di background viene sottosfruttata e relegata ad aspetto scenico funzionale ma distillato col contagocce.

1 - L'occhio che osserva



All'interno di diverse sequenze si avverte una certa meticolosità geometrica nella costruzione dell'inquadratura. Se lo strumento tecnico rischia di venire ricondotto sotto l'egemonia estetica, dalla sistematica precisione ne traggono giovamento alcune atmosfere rarefatte che talvolta sembrano aleggiare attorno al protagonista, enfatizzandone l'aridità interiore. Perle ai porci? Forse. O più probabilmente, Moore ogni tanto si ricorda di essere stato il regista di The Omen, remake perfettibile ma dalla regia meno prevedibile di quanto si possa pensare.

Worst

5 - Sucre



Per 3/4 di film appare ghignando in penombra (nel locale notturno, sopra il tetto, ancora sopra il tetto ma a petto nudo..). Pare lo scemo del villaggio. Poi si scopre che è l'esperimento fallito del siero atto a creare il supersoldato. Peccato che non assomigli esattamente a Steve Rogers e tantomeno ad un riuscito antagonista.

4 - Olga Kurylenko



Può essere girl nel letto di Bond o bambolina dark nel letto dell'Agente 47 ma rimane un soprammobile extra-narrativo con poco tessuto addosso. Qui curiosamente non interpreta la prostituta russa bensì un ruolo che le va molto vicino, la sorella tossica della Mona (eh..) nel letto di Payne. Worst di incoraggiamento, ce la può fare.

3 - Flashback!



Seppia. Non si può. Dovrebbe essere vietato per legge. E poi i lampi di passato mancano della drammaticità trasmessa dal gioco, puntando su ricordi di romanticismo salvifico che è maniera fin dagli anni novanta e l'uso/abuso fatto ai tempi del Corvo. Sovvertire le regole non è cosa da tutti e men che meno da Moore (o d'amoore).

2 - Distretto di pulizia



Dov'è finito il sudiciume che definiva il degrado sociale e ambientale delle location visitate dal videogiocatore? Qui persino i cessi della metropolitana sono lindi e profumati di fresco, leccati a fondo da perfettini patinatismi fotografici incapaci di villana rudezza. Pareti poligonali vs. scenografia ricreata in studio = 1 a 0; più autentiche e coerenti le prime quanto più costruita e finta è la seconda.

1 - Sofferenza e dolore



Max Payne può funzionare solo se veicolato da un livello di comunicazione interattivo. Il motivo è presto detto: di Payne cinematografici ne abbiamo avuti fin troppi. Con altri nomi ma mossi dalle medesime vocazioni vendicative, persino con identici malvagi ambigui dalle similari motivazioni offensive. Per giustificare il debito si punta allora sulla citazione esasperata di singole caratteristiche (il bullet-time protratto allo sfinimento) mancando tuttavia l'interattività necessaria a rendere l'odissea del personaggio non solo percettibile ma pienamente empatica sul piano emotivo. In questo, Behind Enemy Lines si era dimostrato fortemente videoludico, con accezione negativa magari, ma più ricondubile al media convergente di quanto potrà mai essere questo fallimento standardizzato.

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