domenica 22 marzo 2009

Punisher: War Zone


Regia: Lexi Alexander
Durata: 1h e 47m
Dolph Lundgren lo ha fatto. Thomas Jane lo ha rifatto. Ora tocca a Ray Stevenson indossare la tenuta belligerante del Punitore.

Best

5 - New York



L'assolata baia floridese di Tampa stava al Punisher come Bergamo potrebbe stare a Batman, non c'entra nulla (anche se il Wayne dal facile "pota figa" potrebbe servire a qualche rivitalizzazione futura). Castle può muoversi solo all'interno del suo unico e naturale habitat fatto di quartieri fumosi, popolati dalla più disparata e malfamata fauna umana. New York è la sua Gotham, la sua Metropolis. Bentornato, Frank.

4 - Componendo il mosaico



Jigsaw è il classico villain vecchia maniera come non se ne vedevano da tempo, sfigurato nella mente e nel corpo, pregno di sopraffina malvagità tronfia del proprio potere; l'odio provato nei confronti del Punitore ne rappresenta la perfetta nemesi vendicativa. Maschera folle che gode di una fra le migliori genesi nella storia degli antagonisti cinefumettistici (analoga al Joker burtoniano), viene gettato dentro una vasca piena non d'acido bensì di vetro triturato. Auch!

3 - Corcamose de mazzate



Il trio di sbandati capitanato da Maginty si esibisce in plastiche corse parkeur fin dalla prima entrata in scena, lasciando erroneamente presagire lunghi combattimenti coreografati dal Woo Ping di turno. Sbagliato, il terzetto delle meraviglie incrocia Castle e non dura più di mezzo minuto. Da manuale del perfetto Punisher l'uccisione in volo. Non c'è nessun Russo ipertrofico, qui. Anche lo scontro più elaborato si esaurisce presto per poi concludersi poco dopo, ancora prima di iniziare. L'anti-spettacolarizzazione è leit-motiv dell'intero film, un singolo colpo (sia esso causato da armi da fuoco, armi bianche o mani nude) corrisponde a un morto. Il revenge-movie si appropria della fisicità incisiva, diretta e priva di superfluità che ne caratterizzava molte produzioni pre-eighties.

2 - Ray Stevenson



Volto scavato e vissuto da due singole espressioni: triste e incazzato. Stevenson ne comunica la differenza senza cadere nei tranelli della compassione vittimistica o dell'esuberanza macchiettistica, mantenendo una giusta distanza priva di confidenzialità fra se stesso e lo spettatore. Un lavoro di sottrazione a cui viene spesso tolta la parola senza che ne sia avverita la necessità d'uso. Quando poi il personaggio convince nella sua magnificenza bidimensionale, ecco l'apertura ad illuminanti frammenti emotivi come l'accenno di sorriso (il carillon e la bambina) o l'ossessione per la perdita subita e mai accettata (la parte sulla tomba di famiglia), lezione per tutte le spiegazioni didascaliche e assistite a cui troppo spesso siamo obbligati da sceneggiature cretine.

1 - Zona di guerra



Del film di Hensleigh andrebbe salvata l'ultimissima parte, quella in cui il Punitore faceva.. il Punitore. Ovvero quando emergeva la spietatezza del personaggio, col fraintendimento di fondo nel mostrare esclusivamente il lato vendicativo mirato ai diretti responsabili della sua vedovanza. War Zone è così dall'inizio alla fine, solo più incattivito. E splatter, esplicito come mai prima è successo in un Marvel-movie. Niente bottiglie di whisky dentro cui affogare il dolore ma solo un'implacabile macchina che della sua guerra privata ha fatto una ragione di esistenza. Come nel War Zone di Dixon disegnato da Romita Jr.; quando si dice film che mantiene quanto promette.

Worst

5 - Marvel Knights



L'ultraflop di War Zone nei cinema USA decreta la prematura fine della produzione Marvel dedita ad adattamenti borderline rivolti al pubblico maturo. Sempre se per "maturo" si possa definire il limite spartiacque fra under e over-17. Brutto logo, in ogni caso.

4 - Microchip



Nulla da dire su Wayne Knight, timbra il cartellino svolgendo il suo mestiere con onesta partecipazione. Più che altro spiazza la sua uscita di scena, fra le più sbrigative e frettolose mi sia mai capitato di assistere per un comprimario della vicenda. Nonostante alcuni sporadici tentativi determinati a fortificarne la caratterizzazione (il rapporto con la madre malata) sarà ricordato solo per la somiglianza fisica con la controparte fumettistica, rendendolo affine al cameo citante più che alla presenza utile.

3 - New York



Apprezzabile la forte caratterizzazione fotografica di Steve Gainer (quello dell'arakiano Mysterious Skin e dell'Adolescente delle caverne di un insospettabile Larry Clark). Ipersatura e non priva di intuizioni felici nell'uso di tonalità fredde (verde, blu) spesso contrapposte a tonalità calde (giallo, rosso) con effetti spesso positivamente curiosi (la bianca purezza della chiesa sfregiata da ferite cremisi). E' un tratto distintivo che rende ulteriormente personale e unica l'identità del film. Effetto collaterale: New York illuminata al neon sembra una discoteca a cielo aperto gestita da Stephen Goldblatt. Squarci colorati dipingono ogni muro e ogni vicolo, dando l'impressione di osservare un teatro di posa invece del naturale grigiore metropolitano. Una maggiore misura e scelta specifica avrebbe evitato la persistente percezione di faretti posti ad ogni angolo di strada con annesse gelatine tetracromatiche.

2 - L'arringa di Jigsaw



Non è chiaro se voglia essere sarcastico nei confronti dei trascinatori di folle mediatici e politici oppure se è semplicemente la parte peggio scritta del film. Nel dubbio scelgo la seconda, ecco.

1 - Punisher MAX


Ammetto un debole per Garth Ennis. In linea generale, trovo la sua capacità ironica e dissacratoria abbastanza insulsa ma capace di generare caratteri imperdibili e ben più profondi di quanto possano sembrare a lettura superficiale. Il suo Punitore è un personaggio serio, serissimo, talmente serio da risultare divertente. War Zone è serio ma non abbastanza da rendere divertente tale serietà. Anche personaggi nel fumetto volutamente ilari come Soap, sembrano nel film decisamente più ingrigiti e disillusi. Seri. Solo attraverso le esagerazioni sanguinose trova una codifica ridanciana e nell'economia filmica funziona più che bene così. Appare tuttavia evidente l'occasione persa per portare il personaggio a un livello superiore o quantomeno diverso dalla concezione dolphlundgreniana, da cui matura molto ma in parte solo anagraficamente. Nel comics ad esempio è palese (nonchè dichiarato dalla eccezionale mini "Born") che Castle usi la morte dei suoi famigliari per autogiustificarsi da ciò che gli piace fare: uccidere gente. Nel film non si fa alcuno scrupolo e anzi passa come uno schiacciasassi sopra ogni criminale disarmato che gli passa accanto ma tutto viene ri(con)dotto al concetto di vendetta. Le basi sono quelle giuste, sarà per il quarto tentativo... Next.

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